48 ore a Parigi
10/10/2017
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48 ore a Parigi
48 ore nella città che ogni volta mi fa di nuovo innamorare di lei
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La sveglia che suona quando fuori è ancora buio. La luna piena che sta per tramontare e lasciare lo spazio alla luce del giorno. Il silenzio della città che si inizia a preparare al risveglio. Il viaggio verso l’aeroporto . Controlli di sicurezza, una colazione veloce al bar. Il sole che piano piano inizia ad affarciarsi all’orizzonte. La fila per salire sull’aereo. Mi siedo. Mi allaccio le cinture e poi la voce della hostess mi da il benvenuto. I motori a tutta potenza, la corsa sulla pista e poi quell’attimo in cui l’aereo si stacca dalla terra. Ogni volta, da quando sono bambina, in quel preciso momento in cui si spicca il volo, il mio respiro si ferma per un attimo, quasi a voler sottolineare quel piccolo miracolo per noi diventato così naturale.
Un’ora e dieci minuti di volo. La spia delle cinture di sicurezza che si riaccende. L’atterraggio. Il cielo è ormai blu, l’aria tersa e fresca. Il sole ancora caldo. La navetta mi porta in fiera con una giornata di lavoro davanti a me. Le strette di mano, i saluti, i convenevoli. Ancora qualche ora e poi potrò perdermi tra le strade di Parigi.
Finalmente in treno verso la stazione di Notre Dame. Esco per la strada e vengo subito travolta dalla bellezza di questa città. Un piccolo mercato di formaggi e prodotti tipici francesi con piccole bancarelle lungo il marciapiede. Un negozio di fiori freschi all’angolo e la maestosità dei palazzi che piano piano inizia a rapirmi. Un passo dietro l’altro e poi arrivo a Place de la Bastille per poi risalire su Boulevard Beaumarchais. Entro in albergo, prendo la chiave e risalgo fino al quinto piano. Entro in una piccola camera dalle tende chiuse. Le apro e scopro i tetti grigi della città di fronte a me, con tutti quei piccoli comignoli e il sole in lontananza che sta piano piano tramontando.
Qualche minuto per riposarmi e poi via, di nuovo alla scoperta della città ormai illuminata e immersa nella notte. I negozi chiusi, gli appartamenti con le luci accese da cui si intravedono soffitti in legno e arredamenti accoglienti. In un attimo mi trovo a fantasticare su come potrebbe essere abitare qui, vivere nella città più’ romantica del mondo.
Attraverso la strada, giro a destra e poi ancora a destra entrando in una piccola via illuminata dai lampioni. Lì, al numero 8 di Rue de Jouy, dietro ad una porta di legno e vetro c’è un piccolo ristorantino, il Metropolitain. Pochi coperti, tavoli in legno apparecchiati in modo semplice, senza la tovaglia, in pieno stile parigino, come piace a me. Le luci accoglienti, le pareti in pietra e piccole mattonelle rettangolari bianche. Una giovane ragazza mi sorride e mi incanta per la sua bellezza. Pelle color caramello, occhi leggermente a mandorla e un leggero strabismo di Venere. Rossetto rosso. Maglietta a righe bianche e blu. Turbante colorato in testa. “Bonsoir madame, avez-vous une réservation?”. “Oui” rispondo io. Mi fa sedere al bancone, proprio di fronte ad una finestra da cui si può vedere la cucina. Lo chef Paul-Arthur Berlan proprio di fronte a noi finisce di preparare i piatti. Dietro di lui il plongeur e il commis lavorano senza sosta. Dalla cucina escono piatti deliziosi, curati e dai sapori intensi. Un mix tra cucina francese e spagnola davvero riuscito.
La serata prosegue tra piatti di pesce e vino rosè provenzale ghiacciato, assaporando appieno la notte parigina.
“Merci et au revoir” la porta si chiude dietro di me. Davanti la città. I bistrot pieni con le persone sedute ai tavolini fuori che bevono e chiacchierano, la luna che è tornata ad illuminare la notte. La mia mente non può che pensare al 13 novembre del 2015 e per un attimo ho un brivido e lo sguardo si abbassa. Cammino rapita dalla notte parigina fino all’albergo. La porta si chiude alle mie spalle e il sonno prende il sopravvento per dare nuova energia al corpo.
Gli occhi iniziano a socchiudersi e subito vengo attraversata da un desiderio di alzarmi e uscire. La doccia, i vestiti, un po’ di trucco e di nuovo la porta dell’albergo che si chiude alle mie spalle, questa volta per andare via, per andare ed immergermi nella città.
Dopo pochi passi vengo rapita da un piccolo bistrot in una piccola piazzetta. Un platano inizia a perdere le sue foglie, un negozio di abbigliamento all’angolo e una piccola edicola dall’altro lato della strada. Mi siedo. “Un petit déjeuner classique, s’il vous plaît”. Dopo poco sul tavolo c’è del caffè caldo, una spremuta d’arancia, croissant al burro ancora tiepidi, pane, burro e confettura di fragole. La giornata può iniziare. Ristorata mi metto di nuovo in cammino verso Canal St. Martin. Attorno a me piccoli negozi di abbigliamento, gioielli e fiori. Le strade profumano di pain au chocolat appena sfornati. Un Bambino in monopattino con i genitori. Una ragazza con un mazzo di fiori freschi avvolti nella carta di giornale. Un giovane in skateboard che attraversa la strada. La città prende vita lentamente. E’ sabato.
Cammino, mi guardo attorno e vedo tanta bellezza, cura, creatività. Vengo improvvisamente attraversata da un’energia particolare. Quell’energia tipica di quando si ha voglia di costruire qualcosa. I progetti nella mia testa si sovrappongono. Mi sento bene. Vedo una strada di fronte a me un po’ più chiara. Più cammino e piu’ mi perdo tra le strade di questa città e più cresce in me il desiderio di costruirmi un futuro che abbia il sapore di quest’attimo.
Incontro un piccolo locale di fish&chips accanto ad una panetteria dall’insegna maestosa, gli interni in marmo, acciaio e ceramica e quattro ragazzi che lavorano all’interno. Uno nel retro inforna brioche e baguette, gli altri servono al bancone prodotti deliziosi. Decido di entrare al fish&chips, Il “The Sunken chip“. Filetto di merluzzo in pastella fritto, patatine, salsa tartara homemade, purea di piselli e menta e una birra.
Riprendo il mio passeggiare salendo verso Montmatre e subito cerco di lasciare le vie piene di turisti per cercare un angolo più appartato. Un piccolo atelier con i pennelli accuratamente puliti e riposti in barattoli, un bistrot che sembra essersi fermato nel tempo col suo piano in bronzo luccicante scalfito dai segni del tempo. Proseguo verso le grandi vie dello shopping, i magazzini La Fayette, i giardini delle Tuileries. Da un lato la Tour Eiffel e dall’altro il museo del Louvre con le sue piramidi di cristallo.
Ancora pochi istanti prima di prendere nuovamente il treno per l’aeroporto, giusto il tempo di essere rapiti dal profumo dei falafel del quartiere ebraico e perdersi tra i negozi del Marais. Ha iniziato a piovere e mentre mi avvicino alla stazione per prendere il treno mi fermo per un istante. Mi volto. Guardo per un’ultima volta questa città incredibile. Grazie Parigi perché ogni volta mi fai innamorare ancora di te come se fosse la prima.